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martedì 27 dicembre 2011

"Noi venditori di rose, schiavi bambini"

PALERMO - Rashid è un nome di fantasia. Falso, come quello sulla sua carta d'identità. Come i nomi delle migliaia di suoi connazionali approdati in Italia dallo Sri Lanka o dal Bangladesh e costretti a vendere rose e cianfrusaglie nelle piazze di Palermo. Minorenni affidati a padri che non sono i padri, che vivono come figli ma che non sono i figli. Rashid porta il nome del suo finto padre. Quello vero lo ha perso 7 anni fa, quando lasciò lo Sri Lanka e la sua famiglia a bordo di un aereo, accompagnato a Palermo da un uomo che prometteva sogni, scuola e un futuro migliore. Arrivato in Sicilia nel luglio del 2005, dopo appena un mese, e non ancora compiuti i 9 anni di età, cominciò a vendere rose per le vie del capoluogo.
"Ricordo - racconta - che il mio villaggio era molto povero i miei genitori non avevano i soldi per assicurarmi un futuro. Un giorno un amico di mio padre disse che se fossi andato con lui in Italia, mi avrebbe dato la possibilità di studiare. Io ero felicissimo. Quando arrivammo a Palermo però quell'uomo iniziò a chiamarmi con il suo cognome. E mi presentò a tutti come suo figlio". E in effetti sul permesso di soggiorno, il suo cognome è sparito, sostituito da quello del suo finto padre. Rashid è una sua proprietà. Come i circa 200 venditori di rose bengalesi, tamil e cingalesi di Palermo.
I NOMI FINTI
"Quello dei nomi fittizi - spiega Shobin Islam, bengalese e segretario dell'associazione Bangladesh Italia - è oramai un fenomeno molto diffuso tra le comunità dello Sri Lanka e del Bangladesh. I ragazzi lavorano fino a quando non avranno pagato il costo del biglietto e dell'ospitalità. In alcuni casi però i minorenni vengono letteralmente prestati dalle famiglie a terzi per saldare debiti pregressi. Il costo del loro prestito varia dai 5mila ai 40mila euro per ogni figlio".
Ogni "famiglia" tiene in casa dai 3 ai 10 ragazzini. In cambio di vitto e alloggio, ogni notte, dal lunedì alla domenica, l'esercito dei venditori di rose sgattaiola dai vicoli bui di Piazza Olivella, nel cuore della città. Lavora fino all'alba per racimolare, quando va bene, 10 euro a sera. "Mi danno - racconta Rashid - 60 rose ogni 5 giorni: devo venderle tutte e portare a casa almeno 50 euro. Se non lo faccio non mi lasciano entrare e rimango per strada".
Rashid oggi ha 16 anni e un sogno nel cassetto: ritornare nel suo Paese. "Mi hanno assicurato - spiega - che a 18 anni sarò libero, ma sono stanco di aspettare. Vorrei continuare gli studi, ma frequento ancora la terza media. Mi hanno bocciato diverse volte sempre per le assenze. Spesso torno a casa alle 5 del mattino e poi è difficile svegliarmi". Tamil e bengalesi rappresentano oltre il 30 per cento degli stranieri residenti a Palermo. "Sono dei gruppi - spiega Angelo De Florio, presidente dell'associazione Bangladesh Italia - organizzati in clan con una struttura piramidale ed estremamente patriarcale. Arrivano dalle regioni più povere dove il 20 per cento dei bambini ancora oggi è costretto a lavorare dall'età di 6-7 anni".

RASHID NON E' IL PRIMO CASO
Nel 2005 un giovane venditore di rose, appena 13enne, fu convinto da un gruppo di assistenti sociali a denunciare i suoi zii, Kim e Uddin Roish, originari del Bangladesh e residenti a Palermo, che lo costringevano a vendere rose 7 giorni su 7 in cambio di vitto e alloggio. Il processo andò avanti fino allo scorso febbraio quando i giudici d'appello pur optando per l'assoluzione dei due dall'accusa di riduzione in schiavitù, condannarono Uddin a sei mesi di reclusione per falso. Secondo i magistrati, i due avevano organizzato l'arrivo in Italia del bambino facendolo passare per il figlio di Uddin Roish.

LA FALSIFICAZIONE DELLE PATERNITÀ
Il sostituto procuratore di Palermo Ennio Petrigni che ha rappresentato l'accusa in quel processo descrive due stadi di falsificazione: "L'espatrio dei minori avviene in genere con la falsificazione dello stato civile dell'individuo. La prima falsificazione viene fatta nelle ambasciate italiane nei Paesi d'origine dove gli sfruttatori presentano, carte alla mano, il ragazzino come figlio proprio. La seconda avviene in Italia, con la richiesta del permesso di soggiorno, reiterata ogni anno con il rinnovo".
Ribellarsi per i minori non è semplice, anche perché le carte, seppur false, dicono che i finti padri sono gli unici garanti della tutela del ragazzo in Italia. E non solo: Rashid teme per la sua famiglia rimasta nello Sri Lanka. "Ho paura per i miei genitori - confessa - non so cosa fare. Quando li sento al telefono vorrei dirgli tutto. Ma lui, l'uomo che mi tiene in casa, mi sta sempre accanto durante le chiamate". "La strategia delle minacce in traffici di questo tipo - dice Shobin Islam - purtroppo funziona sempre. Sono gli stessi ricatti messi in atto nel mercato della prostituzione. Le vittime sanno che i loro sfruttatori sono realmente capaci di far del male alle loro famiglie e alla ribellione preferiscono il silenzio". Analisi confermata dallo stesso Petrigni: "La vendetta in patria - spiega il pm - è una forma intimidatoria molto comune".
Dalla testimonianza di Rashid e da quelle raccolte nel corso del processo Roish, emergono i ritratti di immigrati perfettamente integrati, con un lavoro stabile e il racket come seconda attività. Hanno mogli e figli propri, anche se questi ultimi non sono tenuti a vendere le rose. Acquistano i fiori a metà prezzo dalle bancarelle al Cimitero di Sant'Orsola. E per nascondere lo sfruttamento dei loro "finti figli", non gli fanno mancare libri e qualche volta regali. Poi, con i soldi intascati in Italia, investono nei loro Paesi. Quello di Rashid, ad esempio, utilizza il denaro per costruire di residence e appartamenti nello Sri Lanka. E, come fanno in molti, paga un pizzo perché i suoi ragazzi possano girare per le strade. Lo intuisce Rashid: "Mio padre incontra palermitani con i quali discute". Lo conferma Shobin: "Gli immigrati pagano il pizzo o spesso le mafie fanno la cresta sui loro profitti". E il pm Petrigni sottolinea "il mantenimento della regola: la criminalità organizzata marca anche così il territorio".  

Articolo tratto dal sito di Repubblica



 

martedì 20 dicembre 2011

Gli immigrati sono una risorsa!



Cari amici finchè questo non sarà chiaro a tutti noi continueremo a guardare i nostri amici extra comunitari dal punto di vista più errato che esista!

Il blog Finalità Sociali si occuperà spesso dei problemi che affliggono gli immigrati in Italia, e, proprio notizie di questi giorni, ci descrivono di situazioni di intolleranza nei loro confronti assolutamente inammissibili. Non si può più fare finta che questi nostri amici che vivono in Italia da decenni vengano considerati da noi come "invisibili". Li costringiamo a fare i lavori più umili e a volte più sporchi in cambio di una paga misera che noi non accetteremmo mai nemmeno se andassimo a vivere in Burundi. E così facendo li consegniamo nelle mani della criminalità organizzata, della mafia! Si amici perchè loro di qualcosa devono pur vivere, devono sfamare i loro figli che non hanno niente di diverso dai nostri figli, e per fare ciò sono disposti a tutto se nessuno li ascolta!
Eppure vi assicuro che sono persone splendide e molti di loro hanno un livello culturale molto più elevato del nostro. Eppure noi non riusciamo a renderci conto di quali benefici potrebbe trarne la nostra terra se contribuissimo alla loro integrazione; in primis la nostra disastrata economia potrebbe contare sulle entrate fiscali derivanti dalle tasse afferenti le loro attività autonome, se infatti prendessimo in seria considerazione l'elevata capacità imprenditoriale degli extra comunitari e li educassimo a gestire le loro attività (anche quelle ambulanti) secondo i principi di una sana imprenditoria, calcolando anche il loro elevato numero, ci accorgeremmo subito che inciderebbero parecchio sul nostro PIL.
Ma per fare questo occorre prima di tutto cambiare la nostra povera mentalità, poi creare a sviluppare dei progetti imprenditoriali specifici per una loro integrazione nella nostra economia e soprattutto cercare le risorse finanziarie per aiutarli nello start up delle loro iniziative.
Ecco allora uno degli aspetti di cui si occuperà Finalità Sociali, infatti a breve ci faremo promotori di alcune iniziative di Social Business a favore dei nostri amici immigrati cercando di coinvolgere Associazioni ed Istituzioni Finanziarie, anche internazionali, con cui dialogare e condividere questi progetti. 
Un ultimo pensiero, in questo articolo, lo vogliamo dedicare a tutti i cittadini di Lampedusa per il calore e l'amore umano con cui hanno accolto questi nostri amici, ecco impariamo da loro!   

mercoledì 14 dicembre 2011

Parte il microcredito in Sicilia Dodici milioni per imprese e famiglie

“La crisi si abbatte anche sulle famiglie. Senza un adeguato accompagnamento, il rischio di finire sotto ricatto degli usurai è altissimo. Le misure del microcredito per le famiglie che abbiamo presentato oggi sono il modo concreto e operativo per accompagnare chi subisce di più gli effetti della crisi”. Lo ha detto l’assessore regionale per l’economia, Gaetano Armao, all’apertura del convegno svoltosi all’Albergo delle Povere, a Palermo.

La dotazione del fondo è di 12 milioni di euro e sin dai primi mesi di applicazione consente di sostenere oltre 2500/3000 famiglie. A questo si affianca poi il microcredito per le imprese, che costituisce un diverso strumento, anch’esso promosso dalla Regione siciliana, ma che intende sostenere micro e piccole imprese attraverso il Fei e Unicredit, per finanziamenti sino a 25 mila euro. Per accedere al microcredito, le famiglie devono rivolgersi agli enti e alle associazioni no profit convenzionate con la Regione (già oltre 50) cui spetta un primo compito di selezione e di accompagnamento per l’espletamento delle procedure.
Durante il convegno, Armao ha consegnato una targa ad Andrea Calabrò, figlio del giornalista Domenico, scomparso sette mesi fa, che fu direttore responsabile de ‘La Rivista del Microcredito’. Anche il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha fatto giungere ad Andrea Calabrò un saluto in ricordo della lunga attività del padre e di augurio per la sua futura attività. Ai lavori hanno partecipato, tra gli altri, Riccardo Savona, presidente della commissione Bilancio dell’Ars, don Sergio Librizzi, delegato regionale delle Caritas siciliane, Roberto Bertola, responsabile Unicredit Sicilia, Antonio Albano presidente della federazione regionale Banche di Credito Cooperativo.
“Unicredit considera il microcredito un importante strumento di aiuto alle famiglie che si trovano in un momentaneo stato di difficoltà, soprattutto nell’attuale fase congiunturale”. Lo dice Roberto Bertola, responsabile di territorio per la Sicilia di Unicredit, intervenuto stamattina al convegno che si è svolto nell’Albergo delle Povere, a Palermo. “In tal modo – aggiunge – è possibile contribuire, con i meccanismi propri del mondo bancario, a combattere il fenomeno dell’usura, dando aiuto a quelle famiglie prive di capacità economiche e patrimoniali necessarie per accedere al credito bancario ordinario, ma con potenzialità economiche future che possono giustificare l’assunzione di impegni finanziari per ricevere il microcredito. Per la nostra banca è quindi motivo di grande soddisfazione essersi aggiudicata la gestione del fondo etico istituito dalla Regione per il microcredito”. www.livesicilia.it
Finalità Sociali crede molto nella funzione del micro-credito soprattutto come strumento per lo sviluppo di micro attività imprenditoriali. Ci auguriamo che gli Enti preposti all'istruttoria di queste pratiche possano concedere i micro prestiti secondo i veri principi ispiratori del micro credito, senza vessare i richiedenti con richieste di pseudo garanzie a tutela della bontà della loro iniziativa. Invitiamo i funzionari, invece, ad una severa selezione dei progetti al fine di premiare chi realmente potrà rendere produttivo il suo prestito.

lunedì 12 dicembre 2011

Le mamme perdute del Sinai «Il nostro inferno tra i predoni»

Articolo tratto dal Corriere della Sera del 12 dicembre 2011
http://www.corriere.it/esteri/11_dicembre_12/coppola-mamme-sinai_76d1a0b4-2492-11e1-8d41-b588752759fb.shtml

TEL AVIV - È pomeriggio, ha smesso di piovere, ma questa donna nella camera in fondo è ancora a letto, nell'odore acre di chiuso e abbandono, dentro il fumo irrespirabile di un fornello a gas acceso nella prima stanza, vicino al materasso. «Devi far prendere aria al piccolo», dice Michal, l'assistente sociale, a una ragazza che siede accanto a un fagotto di pochi mesi. Lei non capisce. Due bambine che corrono tra le pozzanghere in sandali più grandi dei loro piedi vengono chiamate per tradurre. La ragazza annuisce, ma non si muove. Michal sospira: «È una situazione così difficile...».

Venticinque letti ricavati dall'Ong Ardc in una struttura bassa nel quartiere più povero di Tel Aviv per altrettante donne. Ognuna con uno o più bambini, tante con una pancia di mesi, l'ultimo parto tre settimane fa, una femmina. La gran parte vittima di stupri, ripetuti e feroci, da parte dei beduini che le hanno tenute segregate nel Sinai, lungo il percorso per Israele. La tappa finale di un viaggio che inizia in Eritrea, passa per il Sudan, arriva in Egitto; e che da anni lascia migliaia di migranti in balìa di ex contrabbandieri ora trafficanti di esseri umani.
Dalle donne è cominciato tutto. «Le rapivano per violentarle, poi hanno capito che potevano chiedere soldi». Davanti al computer, nella sede dell'associazione Hotline for migrant workers , Sigal Rozen parla, beve caffè, non perde di vista il telefono. «Anche stamattina mi hanno chiamato: "Manda la polizia, ti prego!"». Le si incrina la voce. «"Dove siete?", ho chiesto. "In un container sottoterra", ha risposto l'uomo. Sono così vicini...». Ma è l'altro lato del confine, in Egitto, che può fare? Ong israeliane, associazioni internazionali, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, hanno tutti raccolto cifre, prove, testimonianze. L'ultimo rapporto dice che oggi, in questo momento, 350 persone, donne e bambini compresi, sono in attesa di riscatto o di aiuto.
Dal 2006, 46 mila profughi africani, il 90 per cento eritrei e sudanesi, sono entrati nello Stato ebraico attraverso il Sinai. Al principio, piccoli gruppi; dopo i respingimenti italiani e la guerra in Libia, un'onda crescente. Solo nel 2010 sono stati 14.735; nel 2011 fino al 6 novembre Hotline ne ha contati 12.407. Almeno la metà ha una storia atroce di torture, abusi, reclusioni in condizioni disumane che finiscono solo con il pagamento di cifre spaventose per chi è scappato dalla fame, oltre che da violenze e dittature.
«Mai pensato di venire in Israele - dice Temesghen, 33 anni, alla clinica di Physicians for human rights (Phr) a Jaffa -. Se avessi saputo che cosa mi aspettava, non l'avrei fatto». Eritreo, ha subito le prigioni libiche, ha tentato quattro volte di partire per Lampedusa, non c'è riuscito. Quindi, s'è avviato verso Est ed è caduto nell'inferno del Sinai: «Ci picchiavano ogni giorno con tubi e bastoni, ci minacciavano: se non pagate vi prendiamo gli organi». Tutti riferiscono di un particolare accanimento dei carcerieri musulmani sugli eritrei cristiani, e allo stesso tempo di un uso incontrollato e poco islamico di alcol e droghe.
Sigal, come altri attivisti, conosce i nomi delle tribù che dirigono i traffici, e persino dei loro capi: Samieh detto Abu Musa, tra gli altri. Ma indicare un punto preciso nella terra di nessuno oltre il Negev è affare da militari e competenza degli egiziani. «Loro lo sanno - dice -. Un uomo che hanno cosparso di benzina, bruciato e poi bagnato perché non morisse è stato liberato, ma non riusciva a camminare: ha raggiunto il confine strisciando per mezzo chilometro. Vuol dire che sono qui - allunga il braccio - a 500 metri di distanza da Israele!». Ma nessuno va a prenderli.
Pure Zemen ha passato la frontiera reggendosi sulle ginocchia. L'hanno torturato per ottenere numeri di telefono di qualcuno che pagasse per lui 20 mila dollari. «Mi dicevano: se muori meglio, i tuoi reni valgono di più. Sono stato sei mesi legato, quando hanno tagliato le catene non riuscivo a muovermi». Adesso è convalescente a Newe Shalom, ospite di una famiglia israeliana, padre, madre e tre figlie. Parlano a segni e sorrisi, funziona. Quando Suor Azezet Kidane, comboniana eritrea, gli fa visita, lo trova incredibilmente migliorato. Il padrone di casa conferma: «Ha un buon appetito...».
Suor Azezet è indispensabile. È grazie a lei che le associazioni per i diritti umani sono riuscite a mettere insieme un dossier inappellabile. Due volte alla settimana si reca nella clinica di Jaffa per fare da interprete con i malati, ma soprattutto per aiutare nella raccolta dei dati. Ogni nuovo arrivato, un questionario. Quanti mesi sei stato prigioniero? Quanto hai pagato? Ti hanno sparato? Una bellissima ragazza di ventun'anni che sembra sul punto di partorire annuisce: ha attraversato il confine da poche settimane, superata la rete è svenuta, per stanchezza e paura. La polizia di frontiera egiziana mira ad altezza d'uomo.
I medici della clinica di Phr sono stati i primi a capire che qualcosa di orribile accade nel Sinai. «Arrivavano sempre più frequentemente persone con problemi ortopedici, soprattutto registravamo un preoccupante aumento di disturbi ginecologici e richieste d'aborto - spiega il direttore dell'Ong, Ran Cohen -. All'inizio erano casi individuali, adesso è chiaro che è un sistema: almeno un profugo su due riferisce di abusi». 
Ed è pure «una questione economica», aggiunge il responsabile dell'Unhcr a Tel Aviv, William Tall. Un enorme giro d'affari. Le tribù nomadi che dal Sudan fino al Sinai truffano, rapiscono, vendono e comprano esseri umani a migliaia. Poliziotti e militari corrotti. E all'arrivo in Israele un bacino di manodopera in nero, con l'ansia di tirare almeno 12 ore di lavoro al giorno per ripagare i debiti del viaggio. Se ai primi migranti estorcevano 2-3 mila dollari, i prezzi del rilascio hanno raggiunto i 20 mila. Senza nessuna garanzia di sopravvivenza. E con una prospettiva di fatica e povertà.
Nella foschia della sera Lewinsky Park, a sud di Tel Aviv, si popola di fantasmi. «Tanti vengono a dormire qui, all'aperto», indica le sagome scure Sara Robinson, di Amnesty International. Israele ha firmato e non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati: ne rispetta la spirito, ma è a disagio con un'immigrazione non ebraica che minaccia il delicato equilibrio demografico. Ieri il consiglio dei ministri ha varato uno stanziamento di 160 milioni di dollari per completare la barriera al confine e allargare il centro di detenzione per i clandestini. Sara spiega un meccanismo complicato per cui gli eritrei non hanno status di rifugiati, ma una sorta di «libertà condizionata» da rinnovare periodicamente. Una protezione che però non dà accesso ai diritti. 
Un uomo alterato dall'alcol in un bar frequentato da eritrei si lamenta e dice: «Non ci accettano, né ci mandano via».
Sono cose tanto lontano da noi ma che non possiamo fare finta di non vedere o rifiutarci di sapere. E che ci devono fare tanto riflettere...


venerdì 9 dicembre 2011

Premio Don Pino Puglisi

Lottare per l’affermazione dei diritti umani in ogni parte del mondo, facendo il proprio dovere. È lo spirito del Premio internazionale don Pino Puglisi, giunto alla sua settima edizione e dedicato quest’anno ai bambini di strada di Rio de Janeiro, a cui viene tolto il diritto di vivere la propria infanzia.

La manifestazione, organizzata dall’Associazione Jus Vitae, in collaborazione con la Cisl di Palermo e la fondazione Brass Group, si svolgerà il 15 dicembre al Teatro Biondo di Palermo, con inizio alle 21. Durante la serata saranno assegnati i riconoscimenti a sei persone e gruppi che si sono spesi per la promozione umana in Sicilia e nel mondo.
I premiati dell’edizione 2011 sono Suor Adma Cassab Fadel di Rio De Janeiro, il professor Mads Andenaes di Oslo, per l’impegno nella promozione dei diritti umani, il professor Cosimo Lacerignola, direttore dell’Istituto agronomico di Bari, per il contributo all’affermazione di una cultura della pace nei Paesi del Mediterraneo, dell’area balcanica e del vicino Oriente attraverso la formazione professionale di eccellenza, la famiglia Sferlazzo di Lampedusa, per l’esempio concreto di accoglienza nei confronti dei migranti sbarcati sull’isola, don Luigi Merola, sacerdote che si batte in prima linea contro la Camorra, la caserma dei carabinieri dello Zen 2, avanguardia di legalità nel cuore delle insulae del quartiere periferico di Palermo.
“Il premio internazionale – spiega don Antonio Garau, presidente della commissione giudicatrice – premia chi, facendo bene il proprio dovere, promuove la dignità degli uomini e quei siciliani che, con dedizione e spirito di servizio e di accoglienza, contribuiscono a cambiare le cose in questa terra. Il successo della manifestazione viene garantito dalla testimonianza stessa di don Pino Puglisi, che viene ormai presentato in tutto il mondo come modello per le giovani generazioni e sicuro punto di riferimento della Chiesa universale”.
Particolarmente significativa è la scelta di conferire il premio internazionale a Suor Adma Cassab, una religiosa forte e coraggiosa che da più di vent’anni cerca di dare un’alternativa ai bambini di strada, conosciuta da don Garau e da una delegazione del premio in Brasile, durante il viaggio organizzato un mese fa per promuovere la figura di don Puglisi tra le favelas di Rio. “Abbiamo conosciuto una realtà dalla doppia faccia che ti sa ammaliare, ma anche sconcertare – racconta don Garau -. L’incontro con Suor Adma e i suoi collaboratori ci ha aperto il cuore alla speranza e alla solidarietà umana. E’ stato per noi molto emozionante vedere come queste persone, donando loro un po’ di affetto assieme alle cure minime, si dedicano con grande amore e tenerezza ai bambini di strada che quotidianamente arrivano nella loro casa drogati, sporchi, infreddoliti e mezzi barcollanti. Bambini che non vuole nessuno se non i narcotrafficanti, per farne ogni tipo di uso ed abuso. Bambini che vengono usati per il trasporto della droga e delle armi; bambini usati nel turismo sessuale; bambini che scompaiono e nessuno sa che fine facciano”. L’obiettivo è quello di raccogliere fondi per realizzare una ludoteca nelle favelas di Rio, dedicata alla memoria di don Puglisi. Chi volesse contribuire può inviare un offerta tramite il conto corrente postale n° 15570906 intestato ad Associazione Jus Vitae, via Tommaso Aversa 156, 90138 Palermo; oppure con un bonifico tramite conto corrente postale n° 000015570906 ABI 07601 CAB 04600 CIN F codice IBAN IT51F0760104600000015570906. Sull’esperienza vissuta in Brasile è stata organizzata una mostra fotografica, realizzata dall’operatore Alessandro Spinnato, che sarà inaugurata il 13 dicembre nella scuola Pietro Novelli di Monreale, alla presenza di Suor Adma.
La manifestazione del 15 dicembre al Biondo, che gode dell’adesione del Presidente della Repubblica e del patrocinio della Presidenza della Regione siciliana e della Presidenza del Consiglio comunale di Palermo, sarà presentata dai giornalisti Roberto Gueli e Tiziana Martorana. Durante la serata, si esibiranno l’Orchestra Jazz Siciliana e Ivan Fiore. Le sculture-premio sono realizzate da Giacomo Rizzo. All’organizzazione della serata hanno callaborato l’Università di Palermo, il Centro studi “La vita è bella”, Alessi Pubblicità, Unicredit Banco di Sicilia, lo Studio Maraventano, il Consorzio Comunità Nuova, il Banco delle Opere di Carità Sicilia, Personal Factory, Filca Cisl Palermo, Cisl Sicilia, l’Ordine degli Avvocati di Palermo.
Gli inviti gratuiti per la serata sono in distribuzione nel negozio Piccoli Sogni, show room della solidarietà in via Quintino Sella 63 a Palermo (091.2515108)
Articolo tratto dal sito di LiveSicilia 

martedì 6 dicembre 2011

Contro lo spreco!

L’idea nasce dal ripostiglio! 
Non di rado qualche oggetto perfettamente funzionante non finisce, immediatamente, nel “cassonetto” ma, poiché mantiene tale qualità, viene conservato nella soffitta di casa, nell’eventualità possa un giorno (chissà quando) riacquisire il suo ruolo iniziale. 
Spesso accade che quel giorno non giunga mai e l’inutilità protratta nel tempo si trasformi in rifiuto.
Il nostro proposito nasce da questa semplice constatazione: questa "inutilità" è effettivamente limitata esclusivamente al suo proprietario.
L’idea di base è quella che molti oggetti, che per qualcuno sono solo “ammassi”  dimenticati in soffitta, per altri hanno invece un valore: perché creare allora  nuove pattumiere da una parte e far spendere dei soldi dall’altra? 
Il nostro intento è creare il primo portale al mondo “a metà” tra “ebay” ed il baratto senza l’uso del denaro, per il quale, al solo scopo di testarne il funzionamento, grazie ad un gruppo di volontari è stato battezzato con il nome di persoperperso e pubblicato sul web.
Questo progetto ha dato vita ad un’area “libera” che consente di "mercanteggiare”, attraverso l'uso di una moneta virtuale denominata VALORE,  tutti quegli oggetti,  considerati inutili,  dando al contempo, l’opportunità di entrare in possesso, pagando soltanto le spese di spedizione, di altri beni pubblicati dai diversi utenti, manifestanti il medesimo intento.
Esponendo i propri oggetti  nel circuito gli utenti svilupperanno un “mercato” che rivaluterà il patrimonio "dormiente” delle loro case, consentendo così al danaro già speso di recuperare valore, conferendo altresì agli stessi beni un’indiretta utilità sociale determinata dalla diminuzione dell' accumulo di rifiuti a seguito del loro riutilizzo.
Tutto ciò contribuirà a dare un freno allo spreco e rallentare l’indebita produzione di rifiuti.
Sono parole del fondatore di PxP Michele Marino, il progetto che desideriamo illustrare trae, almeno inizialmente, spunto da una constatazione di vita quotidiana attraverso cui si evince un’oggettiva radicata abitudine diffusa in miliardi di persone in tutto il mondo, nelle cui case vi è “conservata” una sconfinata ricchezza il cui valore attribuito, reso spesso sbiadito dal tempo, porta ad un’inesorabile incongrua stima da cui hanno origine gli effetti dannosi oggetto della nostra analisi, ma che attraverso un opportuno strumento sociale, riteniamo possibile adeguatamente valorizzare a vantaggio dell’intera collettività e dell’ambiente circostante. 
''Persoperperso'', conosciuto oggi anche attraverso il suo acronimo “PxP”, è frutto di un'idea che ha dato luogo ad una realtà web di social-commerce fondata nel 2005, resa operativa soltanto nel Gennaio del 2008,  grazie a dei professionisti volontari, residenti in Italia, i quali condividono l'ambiziosa unicità di un circuito che produce tangibili benefici a coloro che ne prendono parte ed i cui orizzonti, un ottica di  temporale di medio respiro, potrebbero restituire significativi benefici nei più ampi e lacunosi contesti ambientali e sociali in cui attualmente versiamo.
Dall’incontro fra Michele Marino, fondatore di “PxP” e Padre Antonio Garau, vero motore dell’Associazione Jus Vitae, nasce un progetto che è destinato a fare da apripista ad un innovativa modalità di intendere il no profit.
PxP gode oggi di un circuito di alcune migliaia di utenti registrati e di oltre due milioni di accessi constatabili. Allora che aspettate visitate il sito www.persoperperso.com 


giovedì 1 dicembre 2011

Presentazione

Salve a tutti! Benvenuti in questo nuovo blog che vuole solamente rappresentare una voce in più rispetto a tutti coloro che già si prodigano al fine di rendere il tempo attuale in cui viviamo decisamente  più consono ai valori di un'etica umana che è stata totalmente spazzata via in nome del progresso e del consumismo sfrenato. Ho apprezzato moltissimo il libro di Roberto Gatti, La baracca degli angeli, e mi pregio di riportarvi qui di seguito alcuni passaggi della presentazione curata dall'attuale nuovo Governatore della BCE Mario Draghi:


"[...] Questa considerazione, apparentemente ovvia, ci costringe a riflettere in modo diverso sul funzionamento della nostra economia e, più in generale, della nostra società. Ci impone innanzitutto di riconoscere l'onere che ricade sulle persone che si prendono cura dei malati e di chi vive in condizione di dipendenza, un'onere che ricade ancora in misura preponderante sulle donne. Più in generale, ci porta a ragionare sul disegno e sull'ammontare della spesa sociale pubblica, sulle sue interazioni con l'azione delle organizzazioni del terzo settore e del volontariato che si occupano di assistenza. Il ruolo di queste ultime, complementare e non certo sostitutivo di quello imprescindibile dell'operatore pubblico, è importante per la forte motivazione che anima i volontari che vi operano. Questa non è tuttavia sufficiente. Sono anche necessarie risorse economiche,  integrazione di quelle messe a disposizione dal settore pubblico, per sostenere la generosa azione dei volontari, mantenere strutture di cura e assistenza, finanziare la ricerca scientifica. [...] Oggi, il sostegno dell'industria bancaria e finanziaria alle attività di solidarietà si realizza attraverso una pluralità di canali. In primo luogo vi è il contributo diretto della beneficenza attraverso la destinazione di una parte degli utili delle banche e delle altre società finanziarie. [...] Un secondo canale è costituito dall'attività istituzionale delle fondazioni di origine bancaria che destinano una parte sostanziale del rendimento dei capitali investiti a favore del volontariato, della ricerca, dell'assistenza  e della salute pubblica."
Bene, sposo in pieno il pensiero di Mario Draghi che diventerà una sorta di spot di questo blog. Desidero che questo diario personale diventi con il tempo un mezzo che faccia da tramite, nel suo piccolo,  fra il mondo finanziario e quello sociale. Insomma uno "strumento di azione nel sociale"!